sabato 12 dicembre 2009

Vivere … il Natale

Amo il Natale, l’atmosfera magica che avvolge presepi, alberi e quanto di natalizio si vede e si respira.
Ogni anno, il mondo festeggia il Natale nei modi più svariati, dalle luminarie al presepe e all'albero. Il Natale non è una festa riservata ai cristiani ma è carica di una valenza antropologica. I valori della quotidianità della vita, le relazioni umane, l’amicizia, l’amore, la fraternità sono legati a questo giorno al punto che tra credenti e non credenti, la festa rimane tale per tutti: il clima dell’incontro, della gioia, dell’intimità è da tutti condiviso.
Il Natale è un’occasione per riaccendere una speranza che riguarda l’umanità intera: in questo senso, tutti noi sappiamo benissimo "cos’è" il Natale. Eppure, ciascuno di noi ne ha un’immagine personalissima, legata ai ricordi d’infanzia e ai Natali vissuti, a volti e parole di persone amate, a consuetudini che ha voluto conservare o ricreare, e ciascuno cerca di viverlo ogni anno secondo quell’immagine.
A casa mia si preparava un albero artificiale, sempre allo stesso modo e con le solite palline! Ma ciò che faceva percepire a tutti la gioia del Natale erano i preparativi per la vigilia: le pentole bollivano, le donne si riunivano per preparare insieme i dolci e predisporre le nove portate, indispensabili perché la cena fosse “la cena della vigilia di Natale”, unica in tutto l’anno! Anche la frutta …. Era caratteristica, si conservavano le mele nella paglia, l’uva appesa e sotto spirito, i fichi d’india, i cachi e la sera di Natale si mettevano sulla tavola e si consumavano in abbondanza insieme ad arachidi, noci e fichi secchi. Nel camino si metteva “u Zuccu”, non la solita legna, ma un ceppo nodoso e grande, che durava per tutta la notte e la mattina seguente si trovavano ancora braci ardenti. Si andava a letto e si aspettava per ascoltare le strenne che venivano cantate la notte per tutto il periodo natalizio. La mattina si andava a messa e per le vie del paese suonavano le zampogne, non erano del luogo, venivano dai paesi vicini, ma non ricordo di preciso da dove. Nella chiesa vi era il presepe: c’era molto muschio, la capanna e le montagne erano fatte di legno, le state erano semplici; ricordava un paesino di montagna, io lo guardavo incantata, desideravo tanto farlo a casa. Alle superiori, in collegio, le suore, tutte le mattine, in prossimità del Natale, ci svegliavano con le musiche natalizie...
A Natale sembrava tutto magico, ci si aspettava che il Natale portasse pace e dialogo, quella festa era sentita come un’opportunità preziosa per diventare migliori.
Amo la poesia “Natale” di Butera, mi ricorda quell’aria di autenticità che portava con sé il Natale.
Il Natale, per me, era e resta la festa più bella e più sentita dell’anno.
Il giorno della vigilia è morto mio padre, ma questo evento ha reso il Natale per me ancora più intenso, di raccoglimento e riflessione.

Natale
'A solita zampugna colarusa,
Ccu ra nive, è scinnuta a ra marina;
E, mmo, de vientu e dde lamientu chjna,
Sona ra ninna ad ogne pporta chiusa.
E' ra santa Vijìlia de Natale.
Sona, zampugna! Sona 'a Pasturale!
Sona! Pped'ogne nnota chi me porta
Mo chianu chianu e mmo cchiù fforte 'u vìentu,
Intra 'stu core miu turnare sientu
Tutta 'na vita chi cridivi morta,
E mmi s'acqueta 'n core ogni tturmientu
E ppassu supra ad ogne ccosa storta.
Mentre staju ccussì, tra dormebbiglia,
Trase ru suonu duce de 'na n'gaglia;
M'accarizza re ricchie, me rispiglia,
E mme porta, ccussì, cumu 'na paglia,
Ppe' fforza de va vide quale 'ncantu,
A ttiempi 'e mo luntani 'u 'sse sa qquantu

E, all'umbra de 'na granne ciminera,
Viju 'n'ardente, caru fuocularu;
'Nu zuccu 'ncarpinatu paru paru
Arde ccumu 'na cima de jacchèra;
'Ntuornu cce su': 'nna vecchiarella accorta
E Nnannu e Ttata. Mamma, no! M'è mmorta!
'A vecchiarella mia, fusu e ccunocchia,
Fila ccumu sulìadi 'n quatraranza;
Iu le zumpu cuntientu a re jinocchia,
Illa me cunta llesta 'na rumanza…
E ra zampugna sona 'n luntananza
E ri cumpagni mie le fàu ra rocchia.
Sona, zampugna! Pòrtame luntanu,
A ri tiempi filici 'e quatraranza;
A Nnanna chi filava cchianu chianu
'Ntramente me cuntava 'nna rumanza;
A ru zuccu chi ardìa, ssempre cchiù cchiaru
Sutt'a camastra de 'nu fuocularu

Vittorio Butera

domenica 22 novembre 2009

IL MALE DI …vivere

Oggi si cerca di dare spiegazione a tutti i malesseri delle persone, che sono così comuni fin dalla più tenera età e si tende a classificare e spiegarne ogni stato d’animo. Ogni persona è il risultato di un insieme di esperienze che la porta ad assumere atteggiamenti verso la vita e il prossimo. Tutte le problematiche di un individuo sono legate, oltre che ad un’indole personale che lo predispone ad affrontare i vissuti, ad esperienze che ne caratterizzano la personalità.
I malesseri e gli stati di sofferenza più comuni sono provocati da conflitti personali, familiari o lavorativi, situazioni di crisi associate ad elevata sofferenza emotiva (separazioni, lutti..), periodi di grave stress, decisioni difficili. Si manifestano con insonnia, depressione, fobie, ossessioni, attacchi di panico, …
L’ambito dei conflitti sul lavoro è estremamente ampio, e include le situazioni più disparate, dai problemi di inserimento nel gruppo dei colleghi alle difficoltà di gestione delle relazioni fino ad arrivare a situazioni di mobbing che sono le più lesive. Le fobie costituiscono il disturbo d'ansia più comune. Sono paure fuori dall'ordinario, irrazionali, intense e persistenti nei confronti di oggetti o situazioni particolari. I disturbi d’ansia possono compromettere la qualità di vita delle persone che ne sono affette poiché esse vivono in uno stato di tensione continua. Si preoccupano non solo per gli eventi quotidiani della vita, per lo stress a cui sono sottoposti, ma per qualsiasi cosa: i familiari, la salute, la situazione economica, il lavoro, il mondo che li circonda. Le ossessioni sono idee fisse, irrazionali che si presentano ripetutamente nella mente di un individuo.
La naturale conseguenza di molti di questi disturbi è un progressivo isolamento, prima dagli amici, poi dal lavoro, riducendo al minimo le proprie attività.
La famiglia e gli amici devono essere attenti a diventare protagonisti e risorsa dell’individuo sofferente. E’ necessario prevenirne l’isolamento e stimolarlo alla comunicazione e all’apertura verso il mondo esterno.

giovedì 22 ottobre 2009

VIVERE CON…gioia

Una serie di ricerche condotte da Martin Seligman, psicologo e saggista statunitense, docente di psicologia all’Università della Pennsylvania, (autore di molti Best-Seller, come Imparare l'Ottimismo, Come Crescere Un Bambino Ottimista e La Costruzione Della Felicità), hanno dimostrato che esistono persone felici anche tra i miserabili e che la felicità non è legata alla salute, alla giovinezza, all’aspetto fisico, alla cultura… Certo, tutte queste cose possono aiutare, ma quello che rende felici le persone è qualcosa di meno tangibile che può essere definito come l’atteggiamento psicologico verso la vita. Chi affronta la vita con un atteggiamento psicologico positivo, riesce a superare meglio anche periodi difficili e le difficoltà, mentre chi guarda alla propria vita in modo negativo e pessimistico, anche quando ha tutto, non riesce ad essere felice. Al giorno d’oggi abbiamo vite immensamente più comode e piacevoli rispetto ai nostri nonni, possiamo permetterci quello che una volta erano considerati dei lussi inimmaginabili, tuttavia è difficile sostenere che il progresso economico abbia portato la felicità. Una vita ricca di piaceri non è sinonimo di una vita felice. Molte persone sognano di vincere al superenalotto e di poter condurre un esistenza felice. Ma una vita fatta di piaceri, che non comporta mai qualche sfida, è una vita che conduce alla noia e alla depressione L’essere umano ha bisogno di crescere, di mettersi alla prova, di sviluppare i suoi talenti e le sue potenzialità. E’ vero anche che non bisogna fare molti sforzi per essere insoddisfatti e scontenti. Mentre l’infelicità viene da sé, e in abbondanza, la felicità va cercata e costruita giorno per giorno. Molte ricerche hanno dimostrato che le persone ottimiste vivono più a lungo, godono di una migliore salute e hanno dei matrimoni più felici rispetto ai pessimisti. Un ottimismo che non vuol dire fingere che tutto vada bene, ma un atteggiamento psicologico che nasce dalla consapevolezza di essere in grado di affrontare le difficoltà della vita. Mentre i pessimisti tendono a concentrarsi sui problemi, gli ottimisti cercano di concentrarsi sulle soluzioni. La serenità psicologica si ottiene concentrandosi su quello che di buono e di positivo c’è nella nostra esistenza e mettere passione e impegno in quello che si fa nel quotidiano ad iniziare dal nostro lavoro. Purtroppo la precarietà lavorativa e la crisi economica, obbligano molte persone ad accettare lavori mal pagati e poco interessanti, che non permettono loro di esplicitare le proprie potenzialità. Bisogna cercare di mettere il nostro tocco personale in quello che si fa. Se si cerca di utilizzare le proprie potenzialità personali e di vedere il lavoro come un contributo per il bene comune, anche il lavoro più noioso può diventare meno gravoso. Per uno dei massimi poeti italiani contemporanei, Mario Luzi, la felicità non esiste. "Alla felicità io non credo. È una chimera, un miraggio che ha effettivamente polarizzato singoli e collettività, masse umane addirittura, conducendole anche all'ecatombe. La felicità sarebbe uno stato durevole e io non la vedo possibile nella Terra, nella vita umana, negli accidenti che la compongono. Mentre, ecco, la gioia, per esempio è possibile. La vedo come un dono gratuito della vita che può scatenarsi quando uno non se l'aspetta neanche". Cerchiamo, dunque, di godere pienamente di quei momenti di gioia che ci ricerva la vita e di renderli più preziosi!

venerdì 18 settembre 2009

LA CALUNNIA È … un venticello

Gli ultimi tempi mi è capitato di vivere situazioni che mi hanno fatto riflettere sulla forza e l’influenza che possono avere le bugie nella vita delle persone.
La bugia in alcuni casi può essere considerata deplorevole ma tutto sommato innocua.
Quando invece colpisce le persone e va a ledere la dignità e il modo di vivere degli individui diventa abominevole!
Pensavo all’aria di Rossini che descrive la calunnia nei dettagli e per bene.

Tuttavia c’è da fare un’osservazione: oggi a differenza di un tempo si è più restii a credere e a dare per buone tutte le dicerie… col tempo si è rafforzato il beneficio del dubbio!
Resta comunque vero che è difficile cancellare le “verità” che si affermano con le calunnie!!!

La calunnia è un venticello

Un'auretta assai gentile
Che insensibile sottile
Leggermente dolcemente
Incomincia a sussurrar.
Piano piano terra terra
Sotto voce sibillando
Va scorrendo, va ronzando,
Nelle orecchie della gente
S'introduce destramente,
E le teste ed i cervelli
Fa stordire e fa gonfiar.

Dalla bocca fuori uscendo

Lo schiamazzo va crescendo:
Prende forza a poco a poco,
Scorre già di loco in loco,
Sembra il tuono, la tempesta
Che nel sen della foresta,
Va fischiando, brontolando,
E ti fa d'orror gelar.
Alla fin trabocca, e scoppia,
Si propaga si raddoppia
E produce un'esplosione
Come un colpo di cannone,
Un tremuoto, un temporale,
Un tumulto generale
Che fa l'aria rimbombar.
E il meschino calunniato
Avvilito, calpestato
Sotto il pubblico flagello
Per gran sorte va a crepar.
Rossini - Il Barbiere di Siviglia

La calunnia è un vocabolo sdentato
che quando arrivaa destinazione
mette mandibole di ferrro

Alda Merini

giovedì 23 luglio 2009

TUTTO PASSA

Panta rei os potamòs (dal greco πάντα ῥεῖ), tradotto come “Tutto scorre come un fiume” è il celebre aforisma attribuito ad Eraclito. L'espressione proviene da un frammento del trattato sulla natura “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’ impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va”. In questo frammento Eraclito sottolinea come l'uomo non possa mai ripetere la stessa esperienza per due volte poiché egli è sottoposto alla legge inesorabile del tempo, ed è proprio vero: tutto scorre, tutto muta, tutto si evolve...
Tutto è destinato a cambiare, il tempo passa inesorabile e noi assistiamo impotenti a questi cambiamenti e alla velocità con cui tutto passa. Sembrava ieri … il ricordo di un vissuto lontano e ti rendi conto che è trascorso un pezzo di vita, ti rendi conto di quanto sia breve la vita!!!
Non è una riflessione pessimistica, ma una costatazione della realtà, che purtroppo non ci porta da nessuna parte se non alla necessità di dare un significato più profondo al nostro vivere.
Nei momenti brutti della nostra vita pensare che il tempo passa ci può aiutare, ci aiuta ad affrontare le situazioni difficili, ma in altri momenti ci deve spingere a vivere pienamente e consapevolmente, ad assaporare ogni attimo della vita perché il tempo, considerando come ci sfugge, … è prezioso!

Poiché il tempo non è una persona
che potremmo raggiungere sulla strada
quando se ne sarà andata,
onoriamolo con letizia e allegrezza di spirito
quando ci passa accanto.
Wolfgang Goethe

Siccome una giornata bene spesa dà lieto dormire,
così una vita bene usata dà lieto morire.
Leonardo Da Vinci

Il tempo è la forma in cui noi diventiamo padroni e consci
del nostro essere spirituale,
della nostra natura vivente,
opposta alla morta materia e alla rigida meccanica.
Quel che noi siamo,
lo diventiamo non solo nel tempo, ma grazie al tempo.
Non solo siamo la somma dei singoli momenti della nostra vita,
ma il prodotto dei nuovi aspetti che essi acquistano ad ogni nuovo momento.
L’esistenza riceve vita solo dalla prospettiva
di un presente che risulta dal nostro passato.
Non c’è felicità fuori dal ricordo.


venerdì 3 luglio 2009

BENVENUTO Lorenzo

Piccolo, magrolino …e tanto bello!
Hai già trovato posto nei pensieri e nel cuore di tutti noi.
Oggi compi un mese e pare che solo adesso sei in grado di soffermare lo sguardo sulle cose che ti circondano riuscendo a distinguere le immagini e a cogliere i contorni del volto di quelle persone meravigliose che ti stanno accanto.
Mi sono commossa guardando la tua mamma, … come ti sfiora la fronte con le labbra, con quanta dolcezza ti passa la mano sul viso… e tuo padre, sembra voglia proteggerti dal mondo, ti avvolge con le braccia per metterti al riparo da ogni pericolo.
Meravigliosi entrambi!
La tua vita è già segnata dalla presenza di un amore immenso, senza tempo e senza misura che ti accompagnerà in ogni momento, durante il cammino della tua vita, che ti auguro serena e felice.
Auguri!


Tre cose ci sono rimaste del paradiso:
le stelle, i fiori e i bambini

Un mercante mandò il figlio ad apprendere il segreto della felicità dal più saggio di tutti gli uomini.
Il ragazzo vagò per quaranta giorni nel deserto, finché giunse a un meraviglioso castello in cima a una montagna. Là viveva il Saggio che il ragazzo cercava.Invece di trovare un sant'uomo, però, il nostro eroe entrò in una sala dove regnava un'attività frenetica: mercanti che entravano e uscivano, ovunque gruppetti che parlavano, una orchestrina che suonava dolci melodie. E c'era una tavola imbandita con i più deliziosi piatti di quella regione del mondo.
Il Saggio parlava con tutti, e il ragazzo dovette attendere due ore prima che arrivasse il suo turno per essere ricevuto.
Il Saggio ascoltò attentamente il motivo della visita, ma disse al ragazzo che in quel momento non aveva tempo per spiegargli il segreto della felicità. Gli suggerì di fare un giro per il palazzo e di tornare dopo due ore. Nel frattempo, voglio chiederti un favore - Concluse il Saggio, consegnandogli un cucchiaino da tè su cui versò due gocce d'olio - Mentre cammini, porta questo cucchiaino senza versare l’olio. Il ragazzo cominciò a salire e scendere le scalinate del palazzo, sempre tenendo gli occhi fissi sul cucchiaino. Trascorse le due ore ritornò al cospetto del Saggio. Allora - gli domandò questi - hai visto gli arazzi della Persia che si trovano nella mia sala da pranzo? Hai visto i giardini che il Maestro dei Giardinieri ha impiegato dieci anni a creare? Hai notato le belle pergamene della mia biblioteca?
Il ragazzo, vergognandosi, confessò di non avere visto niente. La sua unica preoccupazione era stata quella di non versare le gocce d'olio che il Saggio gli aveva affidato. Ebbene, allora torna indietro e guarda le meraviglie del mio mondo - disse il Saggio - Non puoi fidarti di un uomo se non conosci la sua casa.Tranquillizzato, il ragazzo prese il cucchiaino e di nuovo si mise a passeggiare per il palazzo, questa volta osservando tutte le opere d'arte appese al soffitto e alle pareti. Notò i giardini, le montagne circostanti, la delicatezza dei fiori, la raffinatezza con cui ogni opera d'arte disposta al proprio posto. Di ritorno al cospetto del Saggio, riferì particolareggiatamente su tutto quello che aveva visto.Ma dove sono le due gocce d'olio che ti ho affidato? - Domandò il Saggio.Guardando il cucchiaino, il ragazzo si accorse di averle versate.Ebbene, questo è l'unico consiglio che ho da darti - concluse il più Saggio dei saggi - Il segreto della felicità consiste nel guardare tutte le meraviglie del mondo senza dimenticare le due gocce d'olio nel cucchiaino.

Le due gocce d’olio- “ L’Alchimista” di Paulo Coelho

lunedì 15 giugno 2009

CHI SA AMARSI NON E' MAI SOLO

Ci sono persone che vivono legami dipendenti, che non pensano a se stesse, faticano a concentrarsi sulla loro esistenza, a darle valore, faticano a sentirsi importanti, a rendere importante il loro pensare, dire, fare… faticano a stare bene da sole.
È naturale che nei rapporti con gli altri si creino delle dipendenze: si dipende da un compagno, dai genitori, dai figli, … hanno un ruolo importante nella nostra vita gli amici, i colleghi, ecc...
Devono però essere dipendenze libere, in cui c’è scambio, arricchimento e crescita.
Quando il legame significa non avere una vita propria e non riuscire a stare bene con se stessi, diventa asservimento che soffoca chi ama e chi è amato. Non è facile riconoscere una dipendenza affettiva e accorgersi che si sta amando troppo. Molte volte si pensa che sia l’unico modo giusto di amare. Le persone che amano troppo, spesso hanno poca fiducia in sé e non si sentono degne di essere accettate, accolte e amate per come sono. Amare troppo e legare la propria vita a un sentimento è infilarsi in un tunnel di aspettative deluse, di perdita di fiducia in sé, di pensieri ricorrenti, ossessivi e negativi, significa vivere accompagnati dalla sottile sensazione di non essere mai abbastanza per poter essere amati, abbastanza in forma, abbastanza interessanti, abbastanza adeguati. Sono molte le persone che arrivano a crearsi sensi di inferiorità che le porta verso amori tormentati. Nelle loro relazioni affettive la richiesta di attenzioni, rassicurazioni, conferme, è continua e la loro scarsa autostima alimenta pensieri negativi, prima fra tutti la paura di restare soli, perché non si sa vivere da soli! Ma sui nostri pensieri e i nostri modi di essere possiamo intervenire. Il primo passo sta nel rendersi conto di avere un problema e spesso questo avviene quando si è toccato il fondo: dopo essersi a lungo persi di vista per vedersi solo negli occhi dell’altro. Ritrovare la fiducia in se stessi, amare la propria persona, la propria vita, quello che di fa, quello che si è capaci di fare. Bisogna ridefinire la propria identità, acquisire fiducia in sé con la consapevolezza di poter vivere gli affetti con un giusto grado di dipendenza, senza eccedere. Ogni persona deve lavorare su stessa per trovare le strade migliori per uscire dal tunnel. E’ necessario dedicarsi del tempo per rileggere il proprio percorso, capire che cosa sia davvero meglio per sé e rinforzare la personale autostima. E’necessario:
amarsi: la prima e più importante storia d’amore da vivere è quella con se stessi; diventare protagonisti della propria vita: basta aspettare le conferme dagli altri, ma riportare su di sé la responsabilità della propria vita e del proprio stare bene;
apprezzarsi: ogni persona è unica!
Abbandonare paure e autosvalutazioni: rispettarsi e darsi valore;
coltivare: non solo la relazione! Coltivare amicizie, interessi hobby, crea maggior autonomia;
imparare a stare da soli: chi sa stare solo, può costruire storie d’amore alla pari dove le caratteristiche individuali, i ruoli e le competenze si integrano e si arricchiscono.
Solamente dopo essersi ritrovati si potranno costruire rapporti appaganti dove poter esprimersi al meglio, nel rispetto della propria persona e dell’altro.
La solitudine è per lo spirito
ciò che il cibo è per il corpo (Seneca)

“Chi non ama la solitudine
non ama neppure la libertà,
perché si è liberi unicamente quando si è soli"
(Arthur Schopenhauer)
La felicità nasce dalla solitudine
come un fiore nasce dalla terra
Le relazioni con gli altri
sono la pioggia che nutrono la terra
Cercare la felicità evitando la solitudine
È come innaffiare la nuda roccia
Sperando che vi nascano dei fiori

giovedì 21 maggio 2009

LA POCHEZZA … dell’anima

Viviamo in un mondo in cui gli animi sono pervasi da tanta pochezza!
Siamo bombardati da troppi messaggi pubblicitari, che anche se costruiti al fine di commercializzare un prodotto, influiscono nella formazione di ideali e convinzioni dell’individuo. I programmi proposti dalle televisioni esaltano la pochezza umana e sembrano disinteressati a trasmettere ideali o messaggi positivi.
I bambini guardano troppa televisione e attraverso essa si fanno un’idea della realtà in cui vivono. I più piccoli subiscono gli effetti di ciò che vedono e tendono ad imitare idoli proposti dallo schermo costellati da molta violenza.
Le ragazze sognano di diventare veline e inseguono spesso uno stereotipo di bellezza irraggiungibile, vivendo in modo problematico il proprio corpo e da questo, a lungo andare, ne deriva un’insoddisfazione così profonda da rendere la qualità della vita poco gratificante. Il desiderio di voler diventare come qualcuno che si apprezza non per meriti, ma solo per bellezza, potrebbe favorire oltre che disturbi dell’immagine corporea, anche patologie del comportamento alimentare molto gravi. Il telefonino e ivideogiochi stanno distruggendo la fantasia, la creatività, l’attenzione per il mondo. I giovani, anche i più piccoli, passano le giornate con questi aggeggi in mano, inviando un numero illimitato di sms, giocando, e di fatto sviluppando una forma di incomunicabilità irreversibile.
Prestano scarsa attenzione verso chi e cosa li circonda, chi soffre, l’amico che ha bisogno di ascolto, il richiamo di tutto un mondo intorno, gli stimoli culturali, la voglia di conoscenza, niente li tocca, ciascuno è impegnato a costruire il proprio esasperato egoismo. Questa è la realtà dei giovani, quegli stessi giovani che a causa di un mondo troppo virtuale non trovano il supporto adeguato per affrontare le difficoltà della vita, perché viene anche meno il contatto umano.
Occorre che l'uomo riacquisti la consapevolezza di dover riequilibrare gli assetti, altrimenti, inesorabilmente, l'umanità, tecnologicamente avanzata, si avvierà a percorrere la strada dell'autodistruzione.

Quando i giovani battono l'ali per levarsi dalla vita consueta,
quando esce loro dal cuore,
strano e incompreso a loro stessi,
il grido della vita,
quando chiedono d'essere uomini veramente
- questo non è che "sete di sapere",
si dice,
e con l'acqua del sapere
si spegne la loro fiamma.

Eugenio Garin - la Riflessione Di Michelstaedter

domenica 10 maggio 2009

LA PASSIONE DI …vivere

La differenza fra gli individui nell’affrontare la vita è la passione che ognuno mette nel fare le cose.
Alcune persone amano tutto della vita: la natura, gli uomini, gli animali, tutto il mondo che le circonda. Vogliono vivere appieno e con passione la loro vita. Li accompagna la voglia di vivere il mondo con tutti i sentimenti e tutte le passioni, pensano che, nonostante le esperienze negative che affrontano nel quotidiano, la vita è bella e vale la pena di viverla intensamente. Altri credono che tutto intorno a loro, sia insensato, poco significativo, che vivere sia faticoso, un dovere da assolvere. Affogano nella routine e tutto scivola loro addosso senza sfiorarli e coinvolgerli più di tanto. Sprecano il loro tempo, immersi in un quotidiano insignificante, impiegano le loro energie trasmettendo e assorbendo tutte le negatività possibili. A loro bisogna ribadire che dentro il proprio animo esiste una forza particolare, da cui nasce la passione di vivere intensamente ogni attimo e che è l’appassionarsi, anche alle cose che possono sembrare piccole e futili, dà gioia.
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

...

Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna
o della pioggia incessante.

...

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza
porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

Ode alla Vita - Martha Medeiros

domenica 3 maggio 2009

COMUNICARE...genitori e figli

Chi si accinge ad affrontare l’impresa di crescere un figlio, sente la necessità di “apprendere” tecniche e metodi e ha paura di commettere errori anche nelle cose più semplici. La preoccupazione di essere un buon genitore, la consapevolezza della gravità del compito a cui si è chiamati nel diventare genitori, prevedono riflessioni, confronti e scelte continue di atteggiamenti da assumere nei diversi contesti. Sopra a ogni cosa c’è il voler dare di tutto e di più. Quanto è difficile, spesso, per molti genitori, costruire relazioni profonde, intese intense di valori che vanno al di là del dare materiale! Ed ecco allora che ai figli manca la capacità di appassionarsi alle idee, immersi in una sorta di materialismo e consumismo estremo e con un vuoto immenso nell’anima. I ragazzi non vogliono essere ricoperti e soffocati di tutto, hanno, piuttosto, bisogno che i loro genitori parlino con loro, li aiutino a capire che oltre c’è dell’altro, che è in fondo all’animo che devono ricercare il senso della loro esistenza, la serenità e la forza necessaria per affrontare la vita. E’ attraverso il “Comunicare” continuo al genitore, le emozioni, paure, fantasie, che si stabilisce la vera sintonia "affettiva" e il figlio cresce in modo armonico e sereno. Non si tratta di comunicazioni sterili, ma del vero e proprio dialogo, il parlarsi per condividere contenuti, emozioni, sentimenti, problemi. Ma il tempo dedicato alla comunicazione oggi è ridotto, forse, al minimo storico! Oggi si parla poco, si guarda tanta televisione, tanta navigazione su Internet, radio, sport, sms e telefonate agli amici, il tutto a spese del dialogo familiare! Il problema è che le famiglie (genitori e figli) non riescono a comprendere che tutti i loro rapporti, i loro conflitti e anche il loro amore, sono in funzione del distacco. Tempo addietro il concetto di distacco era assente o era addirittura negato: si pensi a quanti genitori pretendevano che i figli vivessero con loro anche dopo che si erano sposati. Il risultato erano incomprensioni a non finire. Il distacco è il momento in cui un figlio decide di vivere la propria vita, di camminare con le proprie gambe. È chiaro che l'amore resta immutato, ma il rapporto deve continuare attraverso una comunicazione efficace e funzionale basata sull'ascolto che deve essere empatico e non giudicante. Questo permette di capire le reali richieste dei figli, il sostegno che inconsciamente richiedono sempre ai genitori riguardo alle loro scelte. Un rapporto di dialogo e confronto teso a creare senso di fiducia, affetto, rispetto, mantenendo vivo il senso di appartenenza.

Gli individui che nell'infanzia non hanno dovuto subire violazioni alla loro integrità

e a cui è stato consentito di sperimentare protezione, rispetto e lealtà da parte dei loro genitori,

da giovani e anche in seguito saranno intelligenti, ricettivi, capaci di immedesimarsi negli altri e molto sensibili.

Godranno della gioia di vivere...

Alice Miller -"La persecuzione del bambino"


mercoledì 22 aprile 2009

AUGURI a Rita Levi-Montalcini , biologa italiana e premio Nobel per la medicina.

Oggi Rita Levi-Montalcini compie 100 anni.
I migliori auguri alla grande donna della ricerca italiana, tuttora pienamente impegnata. Una donna che ho sempre ammirato, per la sua forza (quasi irreale), la sua tenacia e la sua determinazione. Si pensi che è stata insignita di un Nobel per la medicina nel 1986, è Senatrice a vita ed è responsabile di una fondazione per far studiare le giovani africane, oltre ad aver pubblicato numerosi libri e ricevuto diversi riconoscimenti.
Di famiglia ebrea, con le leggi razziali del 1938, si deve trasferire a Bruxelles per un periodo e poi di nuovo in Italia, nascosta. E’ vicino ad Asti, che cominciano quegli esperimenti, che la porteranno, nel 1951, alla scoperta del NGF (Nerve Growth Factor) per il quale riceverà il Nobel. Ha ricevuto numerose lauree ad honorem e riconoscimenti mondiali.
Una donna che “è sempre bastata a se stessa”, come racconta ad Aldo Cazzullo (Corriere della sera 12-04-09): «Ero ancora adolescente quando decisi che non mi sarei sposata. Dissi a me stessa che non avrei mai obbedito ad un uomo come mia madre obbediva a mio padre. Eravamo una famiglia vittoriana. Mamma dipendeva dalle decisioni che venivano da mio padre».
Alla domanda di Luca Giordano (La solitudine dei numeri primi, Mondadori 2008) se la situazione delle ricercatrici sia ancora quella rovinosa degli anni ‘80 essa risponde: «Dall’epoca di Ipazia (IV sec. d.C.) ad oggi si è detto che il maschio è geneticamente superiore alla donna nelle scienza, ma non è così. Geneticamente uomo e donna sono identici. Non lo sono dal punto di vista epigenetico, di formazione cioè, perché lo sviluppo della donna è stato volontariamente bloccato. … Ora la situazione è migliorata. Non come vorrei, ma è migliorata. Però solo in quella parte di mondo che possiamo considerare civilizzata. In Africa ci sono migliaia di donne intelligenti che non hanno la possibilità di usare il cervello. Ecco perché con la Fondazione Rita Levi Montalcini il mio impegno in Africa è sull’istruzione. … A vent’anni volevo andare in Africa a curare la lebbra, ci sono andata da vecchia, ma per curare l’analfabetismo, che è molto più grave della lebbra» (Wired n.1).
[Riferendosi a Francesco Storace] “Mi rivolgo a chi ha lanciato l'idea di farmi pervenire le stampelle per sostenere la mia "deambulazione" e quella dell'attuale Governo, per precisare che non vi è alcun bisogno. …A quanti hanno dimostrato di non possedere le mie stesse "facoltà", mentali e di comportamento, esprimo il più profondo sdegno non per gli attacchi personali, ma perché le loro manifestazioni riconducono a sistemi totalitari di triste memoria”. (dalla lettera a la Repubblica, Le stampelle di storace ricordano il regime, 10 ottobre 2007)
“A me nella vita è riuscito tutto facile. Le difficoltà me le sono scrollate di dosso, come acqua sulle ali di un'anatra. Ho perso un po' la vista, molto l'udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent'anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente. (dall'intervista di Paolo Giordano, Wired, n.1, marzo 2009).
Alla cerimonia organizzata per i suoi 100 anni dall’Istituto Superiore di Sanità, ha aperto così il suo discorso : «Sono profondamente commossa di essere arrivata a 100 anni dopo una vita vissuta con una gioia che, penso, ben pochi hanno avuto, … non ho paura della morte, per me non conta quando arriverà, potrebbe essere domani…nei miei ricordi non c’è posto per rimpianti o rammarichi…per fortuna non ho l’Alzheimer o almeno, se non mi illudo, posso dire che oggi le mie capacità mentali sono maggiori di quelle che erano a 20 anni perché sono state arricchite da tante esperienze…»
Auguri!!!

domenica 19 aprile 2009

L’angoscia di ... vivere

Chi non ha mai provato angoscia? Alcuni l’hanno provata e altri no. Forse non proviamo l’angoscia da giovani, quando la freschezza della vita ci spinge a godere di tutte le sfumature della vita senza dare spazio ai pensieri più oscuri,… ma quando sopraggiunge l’età adulta, c’è una resa dei conti o, per essere più precisi ,bisogna fare i conti con quello che si è nascosto per anni negli abissi della nostra mente e del nostro animo.Tutto ciò che ci circonda diventa improvvisamente insopportabile, ci soffoca, vivere diventa una fatica. Il filosofo Ludwig Wittgenstein ha scritto: "Non si può sentire uno sconforto più grande di quello di un essere umano. Il mondo intero non può trovarsi in una situazione di bisogno maggiore di quella in cui si trova una sola anima". Come può essere che nell'intimo di un individuo si annidi un'angoscia così grande da superare il male del mondo intero? Montale ha scritto del male di vivere come "dell'incartocciarsi della foglia riarsa". Il mondo si chiude su se stesso fino all'annullamento e perde ogni capacità di attrarre la nostra attenzione, di mostrarsi interessante. Si viene presi da una terribile stanchezza nei confronti della vita. Ma come accade che il mondo, a un certo punto, arrivi a spegnersi in tale maniera? Com'è possibile che veniamo inghiottiti da tali forze distruttive? Lo psicoanalista Massimo Ammaniti afferma “...l'angoscia e la disperazione non costituiscono delle esperienze eccezionali che accadono una sola volta nella vita. Al contrario, esse riguardano ognuno di noi (...) Uno dei tanti volti dell'angoscia, infatti, è dato dalla paura di entrare nell'arena della vita, dalla tentazione di rinchiudersi in un interminabile stato di attesa...”. Noi uomini, come sappiamo, eravamo stati concepiti per il Paradiso terrestre, ma poi sappiamo come è andata e l'uomo viene gettato nel mondo e deve accettare di vivere con angoscia la sua esistenza. La persona sofferente crede di essere la persona più disgraziata del mondo: in realtà quella sofferenza ci spinge a capire cose, che altrimenti non avremmo mai capito. Una persona angosciata comprende che le cose veramente importanti nella vita non vengono mai date con uno sconto, hanno sempre un prezzo e quando esce dall’angoscia, dal tunnel, è pronta a godere delle conquiste e ad apprezzare meglio i momenti della vita!
La disperazione indebolisce la vista
e chiude il nostro orecchio.
Non vediamo altro che gli spettri del fato,
e udiamo solo il battito
del nostro cuore inquieto.
K. Gibran

venerdì 10 aprile 2009

IL GIORNO DEL DOLORE

Oggi, dopo il terribile terremoto, è il giorno dell’addio alle tante vittime.
E’ tanto il dolore che aleggia nell’aria, lo smarrimento, l’angoscia di chi è sopravvissuto ma che ha lasciato ... la propria vita sotto le macerie. E’ la tragedia della gente abruzzese, ma anche la commozione e il dolore di tutti.
Guardando le macerie di un edificio pieno di giovani che si è sbriciolato, togliendo la vita a tanti studenti, ci si chiede: “Come è potuto accadere?”. Guardando l’ospedale costruito da poco e dichiarato inagibile si resta allibiti per il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza vigenti ormai da tanti anni. E ancora, ci si domanda come mai, in un luogo dove da ben quattro mesi si verificano fenomeni sismici, non siano stati effettuati controlli e verifiche sulla sicurezza degli edifici pubblici!
Ma oggi è giorno di dolore, e anche se i dubbi e i perché sorgono spontanei, bisogna dare spazio al raccoglimento, al silenzio, alla solidarietà e alla preghiera.
Alla preghiera per chi non c’è più, per i loro familiari, per le loro mamme affinchè trovino il coraggio di sopportare il dolore e la forza di continuare a vivere.
Tutti partecipiamo al dolore, rendiamo omaggio e salutiamo le vittime della sciagura. Siamo grati a tutti colori che si sono spesi per soccorrere e salvare vite umane: vigili del fuoco, protezione civile, tutti i corpi dello stato, medici, volontari… e speriamo che accanto a questa bella Italia ci sia una classe di politici e amministratori migliori, che prestino maggiore attenzione alla spesa del denaro pubblico per un’adeguata ricostruzione dei paesi terremotati e per la costruzione di edifici sicuri, al fine di evitare altri giorni del dolore.
San Martino del Carso
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano

non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

E' il mio cuore
il paese più straziato
Giuseppe Ungaretti

venerdì 3 aprile 2009

COMUNICARE ... politicando

Comunicare è l’anima della politica, chi non conosce l’arte della comunicazione non può fare politica! La comunicazione politica è, infatti, ritenuta un fattore decisivo nella determinazione dei successi o delle sconfitte elettorali.
Sull’argomento si scrivono libri, si aprono blog, si studia e c’è anche chi di lavoro fa lo SPIN DOCTOR o consulente politico. E’ un professionista che aiuta il politico a comunicare meglio quegli aspetti di se stesso, del suo programma e delle sue realizzazioni politiche, che sono più in sintonia con i suoi elettori. “…. Uno dei compiti fondamentali dello spin doctor è scegliere il giusto mix dei vari mezzi disponibili, in modo che si adattino al meglio alle caratteristiche del politico, del pubblico, del messaggio che si vuole comunicare” spiega Cristian Vaccari, esperto in comunicazione politica che svolge attività di ricerca presso l’Università di Bologna, autore di due volumi sulla tematica, nonché coordinatore, tra l’altro, della comunicazione Internet per la campagna elettorale di Sergio Cofferati a Bologna nel 2004. Informa Vaccari “ … tuttavia, l’esperienza pratica è e sarà sempre fondamentale, per due motivi: primo, le campagne elettorali e la comunicazione politica non seguono sempre regole e schemi precisi, che si possono imparare a tavolino …; secondo, in Italia quella del consulente politico non è una professione riconosciuta e istituzionalizzata, ma è legata alle relazioni che ci si costruisce con partiti e politici, per cui si arriva a fare questo mestiere più accumulando conoscenze, referenze positive e credenziali, che portando a casa un titolo di studio”. Queste figure e tanti mezzi hanno reso i nostri politici tanto bravi che diventano credibili e persuasivi a comunicarci messaggi di ogni tipo, anche contraddittori fra di essi. Non è raro che lo stesso politico passando da una coalizione all’altra riesca a trascinarsi dietro tanti elettori utilizzando molte volte messaggi contraddittori! Conosciamo onorevoli che hanno fatto giri di valzer con Forza Italia, guadagnando cariche importanti, robustamente retribuite, e che gli hanno consentito, in tutte le occasioni e in tutti i comizi, attacchi ai terribili atei, bolscevichi e mangiabambini dei Ds. Mentre da questi ci si attendevano libri di memorie sulle selvagge persecuzioni della sinistra, gli stessi oggi sostengono che per un “mutato quadro politico” e per il bene di chi .... non si capisce bene… sono defluiti nel PD!
Qual è l’oscura ragione per cui questi politici ad un certo momento provano un’irresistibile attrazione per partiti diversi e di cui sono stati avversari?
Sarà un fenomeno come quello dei lemming (una specie di roditori) che migrano spesso?
Il problema è che questa politica (come il tergicristallo: da Destra a sinistra, da Sinistra a Destra…) ultimamente è un po’ diffusa, e purtroppo sono in tanti a praticare la nobile arte della transumanza!!!
Ecco perché sarebbe necessario che fra i politici si ritrovassero ideali e valori, si rivalutasse la questione morale e si ritrovasse interesse per la sorte del paese!
Solo così si potrebbe ritrovare l’ormai perso interesse per la politica!
La libbertà de pensiero
Un Gatto bianco, ch'era presidente
der circolo del Libbero Pensiero,
sentì che un Gatto nero,
libbero pensatore come lui,
je faceva la critica
riguardo a la politica
ch'era contraria a li principî sui.
Giacché nun badi a li fattacci tui,
je disse er Gatto bianco inviperito
-rassegnerai le propie dimissione
e uscirai da le file der partito:
ché qui la pôi pensà libberamente
come te pare a te,
ma a condizzione
che t'associ a l'idee der presidente
e a le proposte de la commissione!
È vero, ho torto, ho aggito malamente...
-rispose er Gatto nero.
E pe' restà nel Libbero Pensiero
da quela vorta nun pensò più gnente.
Trilussa

domenica 29 marzo 2009

COMUNICARE ... parlando

COMUNICARE … parlando
Di tutte le forme di comunicazione, la lingua parlata è la più usata e forse la più efficace per comunicare. Spesso non la usiamo abbastanza e così rimpiangiamo le cose mai dette ….quelle parole che magari avrebbero potuto cambiare il corso dei nostri vissuti. Oppure quelle parole di troppo che hanno rovinato un rapporto in modo irreversibile!
Parlare è una responsabilità grande, scegliere le parole giuste, controllare lo stato emotivo... che è quello che ci fa fare danni. Ma è proprio vero che vogliamo sempre avere tutto sotto controllo? Che vogliamo pesare quello che abbiamo da dire?… Non sempre! Chi non conosce qualcuno nel proprio contesto di vita a cui ha da dire tante cose e anche parecchio colorite? Ebbene, se non lo facciamo, la notte sogniamo di dire a queste persone tutte quelle cose e anche di più. Ma per quanto i sogni ci possono appagare? E allora tiriamo giù il velo ed esprimiamo le parole che dicono ciò che sentiamo, che esprimono noi stessi, ciò che abbiamo da dire, le nostre emozioni e … costruiamo nella nostra vita relazioni autentiche! Non ci soffermiamo sulla forma di relazione che vogliamo avere o che dobbiamo mantenere, parlando spesso di ...niente! Watzlawick afferma che “quanto più una relazione è spontanea e 'sana', tanto più l'aspetto relazionale della comunicazione recede sullo sfondo. Viceversa, le relazioni 'malate' sono caratterizzate da una lotta costante per definire la natura della relazione, mentre l'aspetto di contenuto della comunicazione diventa sempre meno importante”.
Esiste qualcosa di più grande e più puro
rispetto a ciò che la bocca pronuncia.
Il silenzio illumina l'anima,
sussurra ai cuori e li unisce.
Il silenzio ci porta lontano da noi stessi,
ci fa veleggiare
nel firmamento dello spirito,
ci avvicina al cielo;
ci fa sentire che il corpo
è nulla più che una prigione,
e questo mondo è un luogo d'esilio.
K. Gibran

Come potrebbero due esseri capirsi
senza quella speciale comunicazione di silenzi?
K. Gibran (Lettera a Mary Haskell)

lunedì 23 marzo 2009

Perchè COMUNICARE?

Da sempre sono convinta che “comunicare” sia di fondamentale importanza, il collante fra gli esseri umani, altrimenti soli, erranti nel mondo. Se è vero che per comunicare è necessaria un'interazione tra soggetti diversi, è anche vero, come afferma Paul Watzlawick (massimo studioso della pragmatica della comunicazione umana), che "in una situazione in presenza di persone, non si può non comunicare: perfino in una situazione anonima come in un vagone della metropolitana noi emettiamo per i nostri vicini continuamente segnali non verbali”. Ogni momento della nostra esistenza viviamo continue occasioni comunicative: in famiglia, a scuola, in ufficio, in città. Da ciò emerge chiaramente la necessità che la comunicazione “funzioni” per vivere al meglio la nostra esperienza quotidiana. Molti dei nostri disagi, malesseri, senso di inadeguatezza, conflitti, sono legati al modo sbagliato di COMUNICARE!

venerdì 20 marzo 2009